Sul finire del 2019, a partire dalla città di Wuhan, in Cina, si è diffusa in tutto il mondo, una malattia infettiva respiratoria, causata dal virus SARS-CoV-2, appartenente alla famiglia dei coronavirus, che lo scorso 11 febbraio, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha ufficialmente chiamata COVID-19, dove “CO” indica corona, “VI” indica virus, “D” significa disease (malattia in inglese), mentre 19 è l'anno durante il quale il virus è stato identificato.
L'11 marzo seguente, la stessa OMS, ha dichiarato che il focolaio internazionale di infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 poteva essere considerato una pandemia, invitando i paesi a mettere in atto le misure necessarie a gestirla e controllarla.
In seguito alla più massiccia diffusione del Covid-19, in tutto il mondo sono stati presi provvedimenti di contenimento e in Italia dopo le prime zone “rosse” dichiarate in alcuni paesi del Nord, il premier Giuseppe Conte la sera del 9 marzo, con una conferenza stampa, ha dichiarato che tutta l'Italia sarebbe diventata “zona protetta”: "Sto per firmare un provvedimento che potrei definire così: #iorestoacasa. Non ci saranno più "zona rossa" o "zona 1 e zone 2", ci sarà solo l'Italia zona protetta [...]".
Dagli inizi di marzo quindi l'Italia intera si è barricata in casa, tra lo spavento e l'incredulità.
Tuttavia dopo una primissima fase di blocco, trascorsa tra scorte di cibo, organizzazioni familiari e attesa di notizie sul diffondersi del Covid-19, ne è seguita, quasi subito, un'altra che con l'attivazione di canali virtuali ha messo in comunicazione le persone creando una rete sociale virtuale veramente particolare.
E così mentre i medici, gli infermieri e il personale ospedaliero combattevano il virus, senza pausa e spesso senza forze, fuori dagli ospedali venivano attivate diverse iniziative per aiutare le persone in difficoltà e per diffondere un messaggio di speranza nonostante il difficile momento.
Purtroppo questo grido di speranza si è dovuto spesso scontrare con una realtà parecchio più dura, che vedeva, soprattutto in determinate zone dell'Italia e del mondo, il moltiplicarsi incontrollato dei contagi e anche dei decessi.
Ma la speranza, si sa, è sempre l'ultima a morire e dai balconi sono iniziati a spuntare disegni di arcobaleni colorati, fatti dai bambini che con la loro invidiabile positività, rassicuravano gli adulti al motto di “Andrà tutto bene!”.
Quell'arcobaleno ha rappresentato uno nuovo start: il momento è difficile, ma ci si rimbocca le maniche.
La Chiesa tutta si è adoperata in mille modi per aiutare quanti sono stati maggiormente colpiti dal virus e grande è stato il sacrificio di restare concentrati sulla fede, in un momento in cui, a causa della quarantena, è venuto a mancare per tanti cristiani finanche il conforto della Santa Eucarestia. Ma il Santo Padre non ha smesso di essere guida e conforto anche nel difficile tempo del Covid-19, e infondendo speranza e fede ci ha toccato il cuore quando, lo scorso 27 marzo, da San Pietro, camminando sotto la pioggia di una piazza vuota e in un silenzio assordante ha concesso l'indulgenza plenaria.
Di non minore impatto emotivo è stata l'intera quaresima, vissuta tra privazioni, paure e speranza.
E grazie all'impegno di tanti religiosi, anche le celebrazioni che precedono la Santa Pasqua sono state rispettate e virtualmente condivise, anche se materialmente vissute ognuno a casa propria.
Nella Messa di Pasqua che lo scorso 12 aprile Papa Francesco ha celebrato in una San Pietro ancora vuota, si è appellato alla solidarietà ed alla pace, non essendo questo tempo di guerra e conflitti. E ricordando le tante vittime di questo virus non ha mancato, ancora una volta, di trasmettere speranza, perché la Resurrezione di Cristo ci dice che non c'è morte finché si vive in Lui.
Naturalmente anche le Suore Crocifisse Adoratrici dell'Eucaristia, non sono rimaste inermi al bisogno d'aiuto e messe da parte le occupazioni di sempre, con una sinergia tanto improvvisata quanto decisa, hanno messo in campo il loro carisma che si esprime in una duplice dimensione, quella contemplativa e quella apostolica operativa.
E se in alcune Comunità dell'Istituto, ago e cotone alla mano, ci si è adoperati a cucire mascherine da distribuire alla popolazione, in altre ci si è dedicati alla preparazione e distribuzione di generi di prima necessità a quanti avevano bisogno.
Senza contare l’impareggiabile ruolo che le Scuole dell’Istituto hanno avuto nel continuare ad accompagnare i propri alunni in percorsi di didattica a distanza.
Ma straordinaria è stata soprattutto l'attività spirituale delle Suore di Maria Pia Notari, che guidate oggi dalla Superiora Generale, M. Giovanna De Gregorio, si sono organizzate in tutte le Comunità per scadenzare l'intera giornata in momenti di preghiera, la maggior parte dei quali sono stati condivisi, attraverso canali “social” quali ad esempio facebook, con il mondo intero.
Non era affatto facile trasportare l'intimità della loro preghiera al di fuori delle grosse mura dei Conventi nei quali vivono e ancora meno facile era farlo affidandosi solo ad una connessione internet, spesso neanche brillante, ma la volontà di non abbandonare tante persone alla sconforto e soprattutto la loro naturale predisposizione a guidare il prossimo in percorsi di preghiera hanno fatto la differenza e tanti cellulari sono diventati un mezzo per unirsi nella fede.
Le Suore CAE hanno letteralmente accompagnato tante persone a vivere questa epidemia affidandosi al Signore e riponendo in Lui la speranza del domani.
Del resto c'è poco da stupirsi se si pensa che le Suore Crocifisse sono figlie della Venerabile Madre Maria Pia Notari che non si è mai abbattuta di fronte alle difficoltà, ma anzi, abbracciando la Croce, ha fatto della Croce stessa la sua vita.
Vale la pena ricordare che anche la Fondatrice, negli ultimi due anni di vita ha vissuto l’influenza Spagnola, una pandemia influenzale, causata da un virus insolitamente letale, che fra il 1918 e il 1919, uccise decine di milioni di persone nel mondo.
La febbre spagnola colpì in pieno la comunità di San Giorgio a Cremano, Casa Madre dell'Istituto, come emerge da una lettera scritta da Maria Pia a Suor Veronica Peschechera il 14 dicembre 1918, in cui, anche la Fondatrice, come hanno fatto le sue figlie, si è affidata alla preghiera, raccomandando di pregare “[…] assai per la Comunità di San Giorgio, ormai sono quasi settanta, colpite dalle febbri spagnole e non vi è quasi nessuno che le accudisca […]”. Maria Pia, che in quel periodo si trovava a Napoli, dove da poco era stata aperta una piccola casa necessaria alla distribuzione delle ostie, nonostante le sue precarie condizioni di salute, dovute ad un aggravarsi dei dolori artritici, avrebbe voluto andare ad assistere le sue figlie ammalate, ma i medici le proibirono di muoversi. La Madre in una successiva lettera del 18 dicembre, sempre inviata a Suor Veronica, manifestava tutto il dolore di una madre che, in tale momento non poteva assistere le figlie sofferenti “[...] La cara Comunità di San Giorgio il Signore la sta provando in modo incredibile. Già sono volate al cielo quattro care figlie […]. Ora ci stanno altre quattro gravi. Tutte fanno morte invidiabile. La mia lontananza cresce, cresce la mia pena, che non posso descrivere”.
Insomma il mondo non è nuovo, purtroppo, a queste grandi e dure prove, e le Suore Crocifisse, che pure sono state colpite in piena quarantena dal lutto per la perdita, a Casa Madre, dell'amata Suor Bianca, colpita da infarto, hanno scelto, sull'esempio della Venerabile Madre Maria Pia, di anteporre a se stesse il desiderio di prodigarsi per il prossimo e questo ci ricorda che al di là di quanto sia dura la prova, c'è sempre chi è pronto a combatterla con noi, perché insieme è più facile.
Laura Ciotola
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